Incantations

Luminatus


Il progetto Luminatus, iniziato nel 2015, é la continuazione della mia ricerca sulla natura morta Still che dura ormai da parecchi anni. Luminatus ( illuminato ) é un aggettivo che si riferisce ad un luogo ( una stanza di una casa abbandonata di un piccolo villaggio abbandonato, raggiungibile solo percorrendo un sentiero in un bosco ) da me scoperto nell'entroterra ligure che potrei definire ameno, segreto e silenzioso. Certamente può anche riferirsi ad un luogo immateriale che esiste nelle nostre anime e che possiamo raggiungere quando riusciamo ad ascoltare la nostra parte spirituale.
Il progetto é stato per la prima volta presentato al pubblico in occasione della sesta edizione del MIAfair a Milano nel 2016.


Da segnalare che sul N.65 della rivista GENTE DI FOTOGRAFIA ( clicca qui ) é stato pubblicato nel Luglio 2016 un rimarchevole articolo su questo progetto scritto da Alessandra Ciarcia.



Sono come brace sotto la cenere le nature morte estratte dalla contemplazione di Davide Marino: un'emozione intima, trattenuta, ma che brucia.  Riempiono l'inquadratura con i loro occhi che guardano dappertutto, con i loro capelli di petali caduti morbidamente o che attendono con calma il volo che li separi dalla fissità del calice e dello stelo.
L'ora del giorno in cui è avvenuto lo scatto rimane imprecisata, nemmeno l'angolo in parte visibile delle finestre a volte aperte e a volte chiuse fa filtrare la luce rilevatrice dello stato di cose nel mondo.  Nulla sembra esistere al di fuori della "stanza di una casa abbandonata di un piccolo villaggio abbandonato, raggiungibile solo percorrendo un sentiero in un bosco"(D.Marino).
Il chiaro di dentro che evapora dai fiori e va diffondendosi sottovoce nell'ambiente povero e opaco è meno radicale della luce che in Caravaggio e Fede Galizia sferra incursioni e dalle eleganti alzate con frutta, fiori e foglie.  Non c'è la spettacolarità dell'urto della massa, che prende forma dal colore, col buio da cui emerge solo dopo un combattimento tra la vita e la morte, uscendone viva, ancora viva.
E' una natura introversa questa, che si sprigiona con indolenza e meditata pausa.  L'ultimo fuoco che la anima  fonde i toni dei fiori con quelli dell'ambiente, scioglie la distanza tra le parti e lascia la pietanza tiepida, arresa al nostro sguardo.  Nel ripiano sottostante ai vasi si raccoglie lentamente l'avanzo di vita, recisa come si recide un cordone ombelicale.  L'atto della recisione non certo spezza la vita, anzi la fa ri-nascere e la consegna al mondo come entità autonoma, che diventa soggetto.  L'atto della cessione è a sua volta segno di estrema generosità, gesto materno per eccellenza: per consentire alla vita generata di vivere, una madre deve staccarla da sé, esporla all'intemperie del tempo che corrompe, deteriora e appassisce.  Appoggiati su tavoli addormentati, i fiori violacei, blu, vinaccia e gialli ci colpiscono perché sono abbandonati.  Sono fuori dal mondo, caduti fuori dalla scena del mondo; sono pura presenza, pura assenza.  La bellezza di questi fiori consiste nell'abbandono.  La bellezza che afferra davvero i nostri nervi e il nostro desiderio porta in sé una ferita, non scaturisce dalla perfezione, dall'armonia o dalla compiutezza della forma.  La scomposizione della forma in frammenti, nei petali sparsi, si riannoda nel legno che resiste nonostante il vuoto sia entrato come un coltello a scavare nella sua consistenza.  Le schegge evidenziano un buco nella materia che solo la polvere ha riempito, attenuando lo stridere della mancanza.
I petali caduti in esilio, che circondano come aureole i vasi e le bottiglie incrostate di terra e calcare, e i fiori coreograficamente disposti come base di appoggio a volte non coincidono con quelli sopraelevati nei recipienti.  Dal contrasto di prospettive e di colori nasce un dialogo tra elementi fatto di segreti, solitari come gatti in perlustrazione.  Nella stasi si cela il movimento, quindi, e nell'isolamento si esplora la relazione.  L'immagine è proprio frutto dell'incontro tra la luce, che sottrae allo scorrere del tempo, e l'oggetto, che tende ad una continua evoluzione.  Il rapporto fondamentale dell'opera d'arte con la "cosa", irriducibile al tempo storico, ricorda la trasfigurazione in una dimensione assoluta che per Giorgio Morandi avviene tramite l'insistenza, la costanza, la ripetizione ossessiva dell'oggetto.  Scatole di latta annerite, vasi di coccio, bottiglie di vetro colorato simili ad antiche ampolle sono pure sagome formali, sganciate da ogni uso comune, e per questo concentrano in una sequenza di elementi minimi l'ampiezza infinita del visibile.  "Quello che importa - affermava Morandi - è toccare il fondo, l'essenza delle cose".   Alessandra Ciarcia




Nel 2005 mia Mamma é mancata: questo progetto é dedicato a lei.......



shop on line





Ho raggiunto un luogo,
remoto e nascosto.
La luce era silenziosa.

                           Davide Marino




























Non ci sono prodotti sulla lista di questa categoria.